Il Mondo piccolo di Giovannino Guareschi: la cucina parmigiana in Don Camillo

Ve lo dico prima di iniziare, perchè è bene dirle subito le cose altrimenti poi va a finire che saltano fuori quando non devono e rovinano tutto: io sono sempre stata una bambina dai gusti inusuali. Senza nessuna inclinazione inquietante, no quello no, solo banalmente inusuale.

Alla prima Comunione, per dire, mi sono vestita di nero, un nero d’organza adorabile – s’intende – ma pur sempre nero, abbinando scarpe all’inglese ben allacciate, ovviamente nere, e un cappello Charlotte con coulisse e tre grosse peonie cucite di lato. Sotto due trecce memorabili, neanche da dire. Come avrete notato, non una pazzia di quelle che ti mandano l’esorcista, ma pur sempre una inusualità. Mi piacevano Battisti e i capelli lunghi, ricci. Poi una mattina mi sono svegliata e ho deciso che i capelli lunghi e ricci non mi piacevano più, li volevo a spazzolino, dritti come spaghetti e corti come seminote. Mia mamma piangeva mentre la parrucchiera tagliava la prima, la seconda, la terza ciocca di quel tabarro accudito con estrema diligenza, specie dopo la lezione di nuoto quando io e lei, mia madre, rimanevamo sempre le ultime dello spogliatoio pur di asciugare ogni singolo riccio.

Gusti inusuali, gusti inusuali, gusti inusuali.
Anche in ambito cinematografico i miei gusti erano inusuali, quantomeno in controtendenza con quelli delle mie coetanee, giovanissime preadolescenti degli anni Novanta. E così domenica sera, trancio di pizza fumante alla mano destra, telecomando in quella sinistra e Don Camillo alla tv!
Ed eccoci al punto: Don Camillo.

Don Camillo, quello di Don Camillo e Peppone, Don Camillo il prete della bassa emiliana, Don Camillo con le immagini in bianco e nero e quella sottile patina fumé dei tempi che furono. Oggi, inaugurando una nuova rubrica dedicata al territorio emiliano all’interno del progetto Viaggi Cibo Emilia (IG @Viaggi.Cibo.Emilia ), voglio parlarvi di lui, del suo autore e dell’importanza del cibo nel Mondo Piccolo.

Eh si, perchè Don Camillo prima di diventare pellicola cinematografica di grande successo è stato il protagonista di una lunga serie di avventure figlie dell’eclettica penna di Giovannino Guareschi, un giornalista, scrittore, umorista e caricaturista nato proprio nella nostra bella provincia parmense, a Fontanelle di Roccabianca. Uno tanto campanilista da sostenere che il Po, anzichè sul Monviso, sorgesse a Piacenza, là dove inizia il suo straordinario Mondo Piccolo. 

Qualcuno di voi magari ne avrà letti alcuni stralci, altri avranno visto qualcosa in televisione, molti tra i più giovani invece non sapranno nemmeno di cosa sto parlando. Eppure, seppur connotato da forti riferimenti storici e geografici, le dispute paesane tra il prete e il sindaco Peppone rappresentano dinamiche ancora insite nella società dei giorni nostri. E francamente divertentissime.
Di questo mondo piccolo ho adorato i personaggi, ma soprattutto l’appassionato e costante riferimento al territorio, al grande fiume, alle tradizioni che, per prossimità, sono anche quelle in cui sono cresciuta. E naturalmente anche il cibo, grande protagonista dell’opera letteraria di Guareschi. 


Il cibo, che non è altro che una metafora del popolo emiliano: testardo, ospitale, ardente, ha un ruolo così nevralgico che viene inserito non come ornamento, ma come caratterizzazione vera e propria delle situazioni, del contesto sociale e dei singoli personaggi. In Emilia si beve e si mangia e non serve il dottore.
Ne è un esempio l’episodio in cui Don Camillo ricoverato in ospedale e ormai stanco di mangiare brodini, pappine, creme da venticinque giorni buoni riceve la visita del suo rivale politico Peppone, il quale si presenta alla porta con la medicina più potente del mondo: una micca di pane, un piatto di culatello e una bottiglia di lambrusco.

“Mangiò e bevve lentamente e non era per ghiottoneria, ma per sentire meglio il sapore della sua terra. E ogni boccone e ogni sorso gli portavano un’onda di acuta nostalgia: i suoi campi, i suoi filari, il suo fiume, la sua nebbia, il suo cielo. I muggiti delle bestie nella stalla, il picchiettare lontano dei trattori intenti nell’aratura, l’ululare della trebbiatrice.”

E poi il cibo come motivo di aggregazione e, perchè no, come mediatore sociale efficacissimo, motivo di orgoglio e certamente sinonimo di ospitalità.
E così dinanzi a un Don Camillo affamato, Peppone si offre di invitarlo a cena a casa sua.

“A casa mia, invece, c’è un tegame di tortelli con le erbette e tanta cacciatora di pollo da sfamare un Seminario”.

Don Camillo accetta e dinanzi a tutto quel ben di Dio, corredato pure dal Culatello delle grandi occasioni, si perde nella sinfonia di quei profumi melodiosi.

Guareschi corolla la sua Opera di una gran quantità di menù dai quali è possibile caratterizzare il cibo anche all’interno delle classi sociali.
Si passa infatti da “salame e culatello, pastasciutta, cacciatora di pollo o spezzatino di vitella, due o tre torte grandi come ruote di carro, spezzoni di formaggio grana e un diluvio universale di vino imbottigliato” della cena degli ex-soldati, tutto sommato un menù semplice tipico di una riunione tra amici, al gran menù della cena nella tenuta dei Bernaschi, certamente più articolato e ricco nel quale si aggiungono piatti più sofisticati e dettagli inusuali nella quotidianità dell’epoca. Si parla ad esempio di consommé, pasticci, frutta fresca, zuppa inglese, gelato e liquori raffinati.

Potremmo continuare a lungo ad elencare pietanze, ciononostante a permanere lungo tutta l’opera sono sempre i soliti piatti, quelli a cui l’autore era più affezionato che poi sono anche quelli dell’odierna tradizione parmense: i soliti geniali tortelli d’erbetta, salumi strepitosi e del buon lambrusco.

“Alla Bassa, quando agosto fa sul serio, le gole sono bruciate per la sete, e bisogna bere. E per poter bere come si deve, non c’è niente di meglio che far la punta a un buon salame che mette addosso una sete tremenda.”

Prima di lasciarvi devo però assolutamente citare la Spongata, quel dono di Dio che proprio nel paese di Brescello, luogo in cui è stato ambientata l’opera cinematografica, avrebbe stregato gli attori Fernandel e Gino Cervi guadagnandosi un posto nel firmamento dei dolci.

Per respirare le atmosfere di queste terre e del suo autore vi consiglio una visita al Museo Brescello e Guareschi, il cinema e il territorio
Via F. Cavallotti, 24, 42041 Brescello RE – 0522 482564
biglietto intero: € 6
biglietto ridotto: € 4
http://www.visitbrescello.it

Se vuoi continuare il viaggio in Emilia tra scrittori e territorio ti consiglio di leggere anche I luoghi di Bologna che hanno ispirato libri gialli e noir a cura di Libera Salcuni.

Fonti: Egidio Bandini “Guareschi e la cucina del Mondo Piccolo”

Mondo Piccolo di Giovannino Guareschi

2 commenti

  1. La Kry

    I miei genitori mi davano sempre i soldi per i libri di scuola e mi mandavano a comprarli e io, per far spendere meno e far la cresta sul resto, li andavo a prendere usati e con quel che restava compravo altri libri. Fu in uno di quegli scalcinati mercatini dell’usato che trovai una vecchissima edizione del primo libro di Don Camillo e da lì fu amore imperituro, un amore così grande che… ehm… va bene, ti lascio e vado a fare i tortelli!🤣

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