
Osterie, che gran bella cosa!
Lo sapete che Osteria, oltre alla più classica definizione di Locale pubblico con mescita di vini o anche con servizio di trattoria. [In passato, locanda dove si poteva mangiare e trovare alloggio.] corrisponde anche, in senso figurato, s’intende, a simbolo di polemica sguaiata?
E a ben pensarci è nelle osterie che non troppi anni fa avveniva il dibattito, risiedeva l’opinione pubblica. Tra un brindisi al lambrusco e una fetta di salame era lì che la polemica, nel suo senso di vivace e risentita opposizione, aveva luogo. Sguaiatamente, perché dopo qualche bicchierino la compostezza se ne usciva sbattendo la porta.
L’osteria, l’agorà del dopoguerra, è un luogo costruito da chi la vive più che da chi la dirige: agli avventori il compito di imbandiera l’atmosfera, agli osti il compito di imbandierare le tavole con vino e buon cibo.
Oggi, per Viaggi Cibo Emilia (IG @Viaggi.Cibo.Emilia ), forse lo avrete intuito, vi racconterò di Osterie. Ma non le solite Osterie di Parma, già raccontate in lungo e in largo in tutti i libercoli sulla cucina parmigiana, no, oggi vi voglio parlare di un’osteria molto speciale, l’Osteria Croce Bianca.

LA CROCE BIANCA, OSTERIA DEI BISNONNI
Facile parlare di osterie del centro città: a Parma, si sa, dove ti giri, ti giri bene quando si parla di cibo. Oggi vi porto nel mio paese, Fornovo di Taro, un paese che, un tempo, tra i fasti della raffineria e la sua posizione strategica tra monti e mare, godeva di una certa fama, mentre oggi gode perlopiù della fama di paese dormitorio, come molti piccoli centri della pedemontana.
Eppure io, nonostante gli sfaceli odierni, gli voglio bene e riesco ancora a intravedere qualcosa di buono. Belle campagne, a soli cinquanta minuti dal mare, ma comunque vicino al capoluogo, bagnato dal fiume. Gli voglio bene, penso, soprattutto per quello che è il ritratto ad olio che di lui ho tratteggiato attraverso i racconti degli altri.
Il bagno dopo la scuola dalla mura della piazza del Mercato, la gara delle barche, i borghi, la besièda, i personaggi intramontabili.
Alcune di queste storie mi sono arrivate grazie alla penna di Giulio Zuffardi della Tabaccheria Zuffardi, custode appassionato della memoria locale, che con generosità ha condiviso aneddoti e dettagli preziosi. A lui va un grazie speciale.
E proprio dalla sua penna arriva la storia dell’Osteria Croce Bianca, osteria gestita per molti anni dai miei bisnonni, che ha visto persino la nascita di mio padre.
LA STORIA
Tutto cominciò poco dopo il 1850, quando Carlo Vergiati, in arrivo da Parma, si stabilì a Fornovo. Acquistò un edificio situato con un fronte sulla piazzetta che verrà poi dedicata all’orientalista Italo Pizzi, e l’altro fronte ad angolo con Piazza Grande, lungo l’allora via Taro, successivamente chiamata vicolo Lisoni.
In breve tempo, Carlo trasformò l’edificio in un luogo vivo e centrale per la comunità: da un lato aprì un’attività di commercio di granaglie, dall’altro fondò quello che diventerà l’albergo ristorante Croce Bianca, destinato a restare nella memoria collettiva di Fornovo per generazioni. Nel tempo, l’attività passerà ai figli: Enrico, che prenderà in mano il commercio, e Cesare, detto “Lirèn” per via della sua leggendaria parsimonia, che gestirà la Croce Bianca per qualche anno.
Il testimone passerà poi a Faustino, detto Tino, che guiderà l’osteria con competenza e signorilità, fino alla metà degli anni Trenta. È a quel punto che la storia della mia famiglia si lega profondamente alla Croce Bianca. Intorno alla metà degli anni Trenta, l’osteria venne infatti affidata ai coniugi Varesi e Pinelli, Marino e Maria, originari di Rubbiano (sì, esatto, sono proprio i miei bisnonni).
Marino, commerciante di legna da ardere, aiutava saltuariamente, mentre Maria si dedicava con passione alla gestione quotidiana. In quegli anni, anche i figli — Enzo, Giancarlo e Renato (spolier: mio nonno) — davano una mano. La Croce Bianca non era solo un esercizio pubblico: era una casa, un centro nevralgico di affetti, lavoro e comunità.
Durante il secondo conflitto mondiale, la Croce Bianca riuscì a rimanere attiva, pur tra mille difficoltà. Fu rifugio per sfollati, punto di ristoro per operai impegnati nei lavori della diga o del ponte ferroviario sul Taro, e persino sede provvisoria della scuola elementare, che vi trovò spazio per concludere l’anno scolastico 1944/45, interrotto dai bombardamenti.
Nel dopoguerra, il grande salone del primo piano fu spesso usato per feste e balli studenteschi, quando bastava un grammofono per trasformare una serata qualunque in qualcosa di memorabile.
C’è un aneddoto in particolare che amo tramandare. Riguarda un affezionato cliente di via Roma, appena diventato padre. Aveva deciso, d’accordo con la moglie, di chiamare il figlio Lorenzo, e si stava recando in municipio per registrarlo all’anagrafe. Ma prima sentì il bisogno di passare alla Croce Bianca, per dare la lieta notizia agli amici. Tra brindisi e battute, qualcuno scherzò:
“Se è nato in casa tua significa che è nato re, chiamalo Renato!”
Risate, applausi, e un po’ per scherzo, un po’ per spirito di gruppo, l’uomo accettò: tornò a casa col certificato e un nome nuovo per il figlio. Non si seppe mai come la prese la moglie…
E a proposito di nascite, nel 1960, in quelle stesse stanze, nacque mio padre: gioia e gaudio in tutto il regno!
La gestione dei coniugi Varesi-Pinelli (i miei bisnonni) terminò verso la metà degli anni Settanta, per sopraggiunti limiti d’età. Poco dopo, l’edificio fu acquistato dai signori Trani e Spaggiari, che ne curarono il restauro: i piani superiori vennero destinati ad abitazione, mentre al piano terra trovarono nuova vita le saracinesche, ospitando una storica bottega di ferramenta.
Oggi la Croce Bianca non esiste più come osteria, ma il suo spirito vive ancora. Pensate che in uno degli appartamenti del primo piano, ah i giri del destino!, ora ci vive mia zia materna.

COSA SI MANGIAVA ALLA CROCE BIANCA
La bisnonna Maria e il bisnonno Marino io non li ho mai conosciuti. Eppure mia mamma, rifacendosi sempre ad una foto che campeggia su un cassettone da camera dei miei nonni, sostiene che io sia la fotocopia della bisnonna Maria.
In quella foto la bisnonna ha 40 anni o poco più e sembra letteralmente un’anziana signora di 90. Ben tornita, bruttarella in viso con in testa un fazzoletto. Che non aiuta.
Ogni volta che mia madre salta fuori con questo fatto io guardo la foto e penso che mia mamma o è stronza o non vede bene. Perché è vero che ho preso diversi chili negli ultimi anni, ma non esageriamo, dai! Lei si difende dicendo che in quella foto la bisnonna era venuta male e che la somiglianza era più nei lineamenti che nella corporatura.
Sì, probabilmente la bisnonna non avrebbe potuto competere per Miss maglietta bagnata 1930, ma aveva una gran dote: sapeva cucinare da dio. La cacciatora di lepre con la polenta era il piatto forte della Croce bianca e poi la carne lessa, perché il brodo non mancava mai.
Quest’ultimo veniva servito in scodelle, quasi come fosse una bevanda da accompagnamento. Del resto, si sa, il brodo lenisce ogni ferita e, quindi, è perfetto in ogni stagione.
Era così che si mangiava alla Croce Bianca, cibo semplice e ben fatto. E vino servito in piccoli bicchieri con fondo esagonale, di un vetro pieno e robusto, in grado di resistere anche ai brindisi più allegri.
UN SALTO NEL TEMPO: LE OSTERIE NEI PRESSI DI FORNOVO CHE CONSIGLIEREI
Se la Croce Bianca esistesse ancora probabilmente sarei un cliente affezionata. E anche se la lepre mi piace salterella in mezzo ai campi, per la bisnonna Maria, probabilmente, avrei fatto un’eccezione assaggiandola.
Però oggi al posto dell’Osteria c’è una compagnia assicurativa che, ahimè, ancora non si è specializzata in brodo e polenta. Nell’attesa che gli assicuratori si organizzino con la linea, vi lascio due indirizzi di locali che ancora portano il nome di Osteria, vicini a Fornovo.
Naturalmente, negli anni, il concetto di osteria è inesorabilmente cambiato, perciò non aspettatevi di trovare le compagnie che giocano a carte con un vinello, ma buon cibo e un’atmosfera tutta parmigiana, quella sì!
Una è senza dubbio l’Osteria delle Vigne, i cui tortelli meritano una sosta (e anche due). Non si tratta dei soliti tortelli tradizionali, quelli casalinghi dalla sfoglia grossa e arrogante, si tratta di tortelli la cui pasta è tirata finemente, quasi come fosse un velo. Sottile a tal punto da svelare le tonalità del ripieno. Eppure non sparisce affatto.
Ai ripieni bisognerebbe dedicare un libro, sia per varietà che per qualità: gli abbinamenti, anche i meno consueti, funzionano alla perfezione. Dal ripieno di porri, alle mele, alla barbabietola e via così, alla fine la domanda che risuonerà in testa sarà sempre una: qual è il mio ripieno preferito? E non saprete trovare risposta.
Indirizzo: Via Roma, 4, 43040 Varano de’ Melegari PR
Telefono: 0525 404328
Prezzo a persona: 30/40 euro

Un’altra osteria che mi sento di consigliare è certamente l’Osteria di Citerna, in cui i piatti della tradizione vengono interpretati con gusto. E allora sugli gnocchi di castagne spuntano i fichi o sulla carne salse a contrasto. Un lievissimo scostamento che restituisce armonia e stuzzica le papille. Se state cercando un piatto che vi racconti di osterie del passato vi consiglio gli gnocchi all’antica, gnocchi di patate affogati in sugo al pomodoro, soffritto e giusto qualche noce di burro 😉
Indirizzo: Via Fondovalle, 99, 43045 Fornovo di Taro PR
Telefono: 327 012 1349
Prezzo a persona: 30/40 euro

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