Tre giorni tra il cielo e il mare sulle orme dei popoli pre-romani
Premessa: Se ad ottobre avevate letto le mie impressioni sull’escursione alla riscoperta dei mulini di Corchia, allora saprete che io, prima di quell’occasione, non avevo una gran stima di trekking organizzati e affini. Poi, come San Paolo sulla via di Damasco sono stata illuminata da Emanuele, super guida BEDONIESE di Trekking Taro e Ceno.
Se volete sapere com’è andata cliccate qui, altrimenti tirate dritto che abbiamo tanta strada da fare!
Ingredienti
55 km di cammino c.a.
6 panini
20 compagni di viaggio
1 scatola di Compeed
2 guide top (Emanuele e Giacomo)
1 paio di scarponi
1 zaino
1 numero indefinito di bottiglie di vino
1 pizzico di imprecazioni
2 occhi buoni per ammirare i panorami
appetito q.b.
18 milioni di litri di acqua. Questa è meglio non dimenticarla.
Come avrete notato dagli ingredienti, oggi la ricetta non prevede fornelli o foraging di sorta, oggi la ricetta è davvero articolata e con gli stessi tempi di una resurrezione: 3 giorni!

Lunedì 23 maggio ore 19.00
La terra non ha ancora finito di ruotare sul proprio asse da quando i nostri piedi han toccato suolo natìo che già son qui al pc a cercar di intrappolare vividi i colori di questo weekend fuori dal tempo trascorso sull’ultimo tratto del Sentiero dei Celti, quello che collega il Monte Penna a Sestri Levante.

Ma partiamo dall’inizio.
Ad ottobre, durante quella famosa uscita ai Mulini tra un pezzo di pizza di Corchia ed un bicchiere di birra, Emanuele ci aveva raccontato di un’epica missione compiuta da lui ed altre guide all’inizio dell’estate: erano riusciti a collegare Milano al mare attraverso un percorso che lambiva territori noti di Lombardia, Emilia-Romagna e Liguria, ma con uno sguardo nuovo, completamente immerso nel mistero delle origini pre-Romane, Il sentiero dei Celti.
Ad oggi questo sentiero è percorribile solo con guide esperte poichè non è ancora stato segnalato e così, quando qualche settimana fa abbiamo visto l’escursione in programma, ci siamo fiondati senza pensarci un instante di più.

Dodici sono le tappe da percorrere: si parte da Milano, passando poi per Navigli, Pavia, Colombarone, Oltrepo, Val Tidone, Val Trebbia e Bobbio, Val Nure, Val d’Aveto, Monte Penna, Monte Zatta e Val Graveglia e si arriva a Sestri Levante.
Noi di tutto questo popò di tappe abbiamo toccato le ultime tre.
1° GIORNO : Passo del chiodo – passo del bocco
Siete pronti? Si parte!
Venerdì 20 maggio con un giorno di ferie, uno zaino ed un salame fatto in casa sulle spalle, son partita insieme al fragolero in direzione Borgotaro. L’appuntamento era alla stazione alle ore 9.00 dove tra strette di mano e accenti oriundi, come da tradizione, non ho capito neanche un nome, e poi via a bordo di un pulmino verso il passo del Chiodo. Qualche curva ed eccoci arrivati nella natura.

Partiamo per la prima tappa del viaggio, il mitico Monte Penna, dapprima attraversando lo splendido anfiteatro naturale della Nave, nel quale abbiamo potuto ammirare le prime specie floreali selvatiche (di cui io avrei poi travisato tutti i nomi) e poi risalendone la vetta.
Dal Monte Penna si vede il mare e a maggio il verde è tutt’attorno. E’ un luogo mistico e non siamo stati certo noi i primi ad essercene accorti, dovete sapere infatti che i Celti Liguri (abitanti di quella zona prima delle conquiste romane) consacrarono l’intero Monte, vetta più alta dei dintorni, al dio Pen: un grande altare naturale, proteso a cercare l’eterno contatto fra la terra e il cielo.
Ed in effetti, vuoi il panorama, vuoi il salame, vuoi che da lì nascono i fiumi gemelli Taro e Ceno, il Monte Penna è davvero un posto magico.
Vorrei dirvi qualcosa in più sul Dio Pen, ma devo essermi distratta per via del salame e addio spiegone.

Fine sosta, ripartiamo lungo un tratto del “Sentiero Italia” e c’è il sole, a sinistra le verdi valli emiliane, a destra il mar ligure.
Momento storia, fermi tutti che questa la so!
In queste foreste i Celti Liguri opposero una strenua resistenza alla conquista romana. Celti liguri = popolo valoroso, ma abituato alla guerriglia. Romani = esercito organizzato abituato a battaglie in ampi spazi. Soluzione = romani disboscano le foreste così da modificare la tipologia di scontro a loro favore. Non essendoci più boschi e nascondigli i Celti liguri non sanno come difendersi e così cedono. Fine momento storia.

Passo dopo passo, tra saliscendi e soste panoramiche, con molte ore di cammino sul groppone, arriviamo finalmente al rifugio Luigi Devoto al passo del Bocco per la cena ed il pernottamento, un po’ acciaccati, ma felici. La Nada, la signora del rifugio, è una tipa tutta d’un pezzo e non transige sulle regole della casa, così alle ore 22.30 siamo già tutti a letto. E chi resisteva oltre?

2° GIORNO : Passo del Bocco – Cassagna
L’indomani, completamente ricoperti di compeed, ripartiamo in direzione Cassagna. Attraversiamo la faggeta monumentale del Monte Zatta con una piccola deviazione sul Sanatorio e una volta in vetta ammiriamo il panorama mozzafiato. Per la prima volta vediamo la nostra meta: le acque del Golfo del Tigullio. Ehi, calma che la strada è ancora lunga e ricca di sorprese.


La Val Graveglia è infatti ricca di tesori geologici nascosti: aree carsiche, graniti, cave di diaspri e miniere di manganese. Per il pranzo, gialli di ginestre fiorite, arriviamo infatti alle miniere di Gambatesa, foto sui trenini e si riparte subito. Poco prima dell’arrivo un gelido pediluvio delle acque sotto a Cassagna, ci rimette in vita. Ed io tra bardane e cascatelle trovo pure un sasso a forma di cuore. Ah, l’amour! Mezz’oretta di cammino tutto in salita e siamo a Cassagna.
Cassagna, l’isola che non c’è
Ma cos’è Cassagna? Difficile dirlo! Si potrebbe insinuare che si tratti di un paese, forse una frazione o un posto dimenticato da dio, ma non sarebbe leale. A Cassagna non c’è nulla al di fuori di una chiesetta, di Lorenzo con la sua famiglia e di Ezio, ristoratore burbero e generoso. Opzetekianamente conviviale, sospeso nel tempo e su terrazze e balconi, sornione come i due gatti che ne abitano i tetti, a Cassagna non so se ci vivrei, ma certamente ci ritornerei, anzi ci ritornerò.

Ad accoglierci il B&B di Lorenzo, da Baldo e Chicca, diffuso tra casette in sasso e torrette sopraelevate. A noi tocca la casetta Essiccatoio, adorabile come il camino a fine ottobre, con vista sulla foresta del Borneo. Giusto il tempo di appoggiare lo zaino che subito veniamo richiamati all’ordine : ”C’è l’aperitivo”
“Signorsì signore“, rispondiamo consci del fatto che le guide hanno sempre ragione.


La tavola è una sola e noi ci stiamo tutti attorno, il vassoio ospita una bottiglia di vino bianco fresca di frigo con la condensa ad opacizzarne il vetro ed i bicchieri, calici bassi da osteria di paese, stanno li ad aspettarci. Un piatto felice di bruschette pane, olio e pomodorini grida “Sono squisito”. E lo è davvero.
Lo ammetto, coi bicchieri di vino forse ho esagerato, ma mi sembravano così piccoli.




Dopo l’aperitivo ci spostiamo nella terrazza di Ezio. Una terrazza in sasso, un pergolato posticcio ed un Ezio tanto ruvido che basta un tocco per farlo sbriciolare. Sotto la scala in pietra che conduce alla terrazza un esperto signore, coi baffi e la camicia, armeggia insieme ad Ezio davanti al fuoco. Stanno facendo i Testaieu, che a dispetto del nome sono molto più simili ai panigacci della lunigiana che ai testaroli. Nella fucina forgiano e io sono incantata.
Ezio pone piccoli testi in terracotta ad arroventare sulla fiamma del camino, con la parte concava rivolta verso il basso. Appena il primo di essi appare incandescente lo sposta su di un banchetto, questa volta con la parte concava verso l’alto, e l’altro signore lo riempie con una pastella liscia di farina, acqua e sale. Poi Ezio prende il secondo e lo pone sopra il primo e così via fino a che la pila non si fa altissima. L’acquolina imperversa e una lunga tavolata ci raccoglie all’imbrunire, ci sediamo ed ecco che arrivano salumi, cuculli, torte salate e poi i tanto agognati testaieu. Col pesto. Impilati. Croccanti. Deliziosi. Che fame! Si mangia, si beve e si dorme nell’essiccatoio.

3° GIORNO : Cassagna – Sestri Levante
E’ il terzo giorno e la colazione ci fa resuscitare. Ancora sul terrazzino di Lorenzo, tra i gatti, le torte e tutta la combriccola. Bello e basta.
Si parte, questa volta in direzione mare. Ci lasciamo alle spalle Cassagna ed arriviamo sul ponte di Nascio, un unico arco ben conservato, lungo una ventina di metri, scavalca la gola del Rio Novelli. A metà campata un’edicola, una Madonnina tiene con aria dolce ma ferma il bambinello.
Più ci allontaniamo più la gola sotto al ponte si fa aspra e maestosa.



Si cammina a lungo nella fitta boscaglia prima di giungere al monte Capenardo, sopra a Sestri Levante, dal quale solitamente il panorama la farebbe da padrona, ma il cielo ci assiste e le nuvole ci riparano dal caldo infernale. Ci piace anche senza sole.

Da qui inizia la discesa inesorabile lungo il pendio, il mare si fa sempre più vicino e si aprono davanti a noi la Baia del silenzio da una parte e quella delle Favole dall’altra.

I miei piedi sono incandescenti come i testi dei testaieu, ma resisto.
Giungiamo alle Rocche di Sant’anna, il tempo di una foto e poi di nuovo giù verso Sestri.
Sarà che a Sestri io ci son cresciuta, sarà che nella Baia del Silenzio ci ho dormito, sarà che rimugino ancora sulla chiusura del Forno Tosi nel Carruggio e la sua focaccia dolce, sarà, sarà, sarà tutto questo che nonostante il tempo per stare in spiaggia stringesse, mi son dovuta fermare a svaligiare un forno.
Via le braghette, in mano la focaccia e via verso il mare sudata, ma felice!


Cosa ho imparato in questi 3 giorni?
– che ho un occhio speciale per avvistare cacche di animali selvatici
– che il lupo fa la cacca sui crocevia
– che la volpe fa la cacca sui sassi in bella vista
– che il tasso è civilizzato e la cacca la fa nelle latrine
– un sacco di nomi di fiori
e che il sentiero dei Celti è uno spettacolo!
Grazie alle nostre guide Giacomo ed Emanuele e a tutti i variopinti compagni di viaggio!
C.
Ed ora titoli di coda a suon di flora selvatica. Attenzione, alcuni nomi potrebbero essere stati travisati, of course!































Un commento