Per chi come me ha dei nonni che in gioventù hanno abitato le nostre montagne, la castagna è una di famiglia.
Presente in molti racconti, ha contaminato ricette tradizionali riuscendo ad insinuarsi e quindi a farsi ricordare durante i pranzi della domenica, quelli di Natale, di Pasqua e persino in quelli del primo dell’anno. Del resto basta andare al San Bernardo, sopra a Bergotto, e mettersi a cercare la vecchia casa in sasso in cui mio nonno Remo con i suoi fratelli e genitori ha vissuto la sua gioventù. Troverete castagneti su castagneti, nient’altro che castagneti. Qualche radura, sentieri e poi ancora castagneti.
E allora dopo aver raccolto castagne in quantità in quelle zone, mi è venuta una gran voglia di ascoltare un bel racconto sulla vita nei boschi e l’impiego della castagna.
Come narratrice ho scelto l’Ivana, mia nonna, che per arrivare ai suoi 80 anni suonati di castagne ne ha dovute mangiare parecchie.
Una nonna che ha vissuto molti anni nei boschi sì, ma che ne ha vissuti parecchi anche nella città più desiderata del mondo, New York. Insomma una narratrice d’eccezione che ci racconterà cose pazzesche in modo confuso e poco lineare, e per questo ancor più coinvolgente.
“Lì dove sei stata te, vicino alla conca c’era l’essiccatoio. Ce n’erano tanti sparsi nei boschi e lì si mettevano le castagne a seccare per poi farci la farina.”
Eh sì perchè una volta, oltre 60 anni fa, la farina di castagne rappresentava un’importantissima fonte di sostentamento, facilmente reperibile e adatta a molti usi.
“Un tempo non se ne raccoglieva mica come ne avete raccolte voi, si passavano giornate intere a raccoglierle, poi si mettevano nei Secatoi e ci si accendeva sotto il fuoco. Erano delle casette a due piani…Nel piano di sopra ci si mettevano le castagne e sotto il fuoco le faceva seccare. Una volta seccate si mettevano in una macchina apposta che le divideva dalla buccia. Ecco a quel punto le portavamo al mulino dove ce li macinavano e tornavamo con i nostri sacchi di farina.”
Ed è lì che iniziava la dieta della castagna. [da leggere come CLIMAX ascendente senza mai respirare] Polenta di castagne, pasta di castagne, gnocchi di castagna, latte di castagna, pane di castagna, acqua di castagna, salame di castagna. [respirare] Insomma bruciore di stomaco assicurato!
E allora dopo tutta la storia delle castagne nel bosco secondo voi non ho chiesto la ricetta della pattona? La pattona è uno di quei piatti strani che ha mille varianti possibili e di cui ogni famiglia di ritiene detentrice della ricetta giusta. Ci sono quelle che la interpretano come un dolce e poi ci sono quelli che la interpretano come una sorta di companatico, buona con il dolce, ma ottima anche con il salato.

E allora, nonostante volessi aggiungere salvia e rosmarino, dopo essere stata redarguita dalla suddetta nonna, ho deciso di seguire la ricetta original in Corchia.
Acqua, farina e un pizzico di sale. Per la precisione un “pugnon” [unità di misura nonnesca] di farina di castagne e poi acqua quanto basta a raggiungere la consistenza un pò liquida tipica della pastella per fare le crepes (senza accento che fa figo).
Ora arriva il difficile, nel senso che alla mia domanda “A quanti gradi la inforno?” mia nonna risponde con un “Eh no, va cotta nel testo…O almeno nel forno a legna!”.
Vabè inutile dire che il testo non ce l’ho e che non potevo accendere il fuoco in mezzo alla cucina. Quindi per stavolta ho deciso di fare l’esperimento sia nel forno elettrico, sia in padella, la prossima volta prometto di farla nel forno a legna.

Quella in forno l’ho stesa su una trama di foglie di castagno precedentemente seccate sotto un peso in modo da non farle arricciare troppo, quella in padella semplicemente con una goccia d’olio sul fondo.
Il risultato della pattona in forno è stato deludente, devo aver sbagliato qualcosina nella quantità di liquido versata sulle foglie. Quello dell’esperimento in padella invece perfettamente riuscito e immediatamente gustato con un ottimo miele di castagne proveniente dalla nostre vacanze in Croazia. Le simpatiche pattoncine non devono essere male nemmeno farciti con stracchino e salsiccia o con gorgonzola e noci.

Magari da mangiare a pranzo se non volete sognare demoni travestiti da Casalino tutta la notte.
“Bè e poi c’è la pattona VUJUSA, quella si che è speciale…” Ma questa è un’altra storia e ve la racconto un’altra volta.
C.